Riforma elettorale
Per una riforma del sistema elettorale in senso proporzionale
Dopo il completamento della riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei componenti di entrambi i rami del Parlamento, l’attuale legge elettorale, con una significativa componente di tipo maggioritario, è ancora adatta all’Italia, oppure è necessario passare a un sistema di tipo proporzionale? E qual è il modo migliore per procedere?
- Le diverse norme elettorali per i due rami del Parlamento
Conviene ricordare, anzitutto, che in Italia sono in vigore norme non solo distinte per la Camera e per il Senato, ma anche diverse, per via del vincolo costituzionale che collega il Senato alle Regioni.
La legge 3 novembre 2017, n. 165 (c.d. legge Rosato), applicata nelle elezioni politiche del 4 marzo 2018, prevede, in estrema sintesi:
- un sistema elettorale misto per entrambe le Camere, perché il 37% dei seggi è assegnato mediante un sistema maggioritario (a turno unico) nei collegi uninominali (c.d. sistema uninominale secco),
- il 61% è distribuito mediante un meccanismo proporzionale alle liste che abbiano superate le soglie di sbarramento previste a livello nazionale;
- il restante 2% è destinato al voto degli italiani residenti all’estero, ed è basato su un meccanismo proporzionale;
- è inoltre prevista la possibilità di realizzare un apparentamento, nonché di formare una coalizione a livello nazionale, con precise conseguenze per le candidature nei collegi uninominali.
- Le conseguenze della riforma costituzionale
Su questa disciplina elettorale si è innestata la riforma costituzionale del 2020, che ha ridotto il numero dei parlamentari, portandoli (da 630) a 400 deputati e (da 315) a 200 senatori elettivi. Approvata in via definitiva dopo il referendum, la riforma interviene sulla struttura della rappresentanza politica.
In primo luogo, con un minor numero di parlamentari, occorrerà inevitabilmente ottenere un numero più alto di voti per essere eletti.
In secondo luogo, le conseguenze della riforma sono suscettibili di avere un impatto maggiore su alcune regioni, quelle aventi un minor numero di elettori. Soprattutto al Senato, il riparto su base regionale rischia di penalizzare le forze politiche più piccole, mettendo a rischio la protezione delle minoranze.
In terzo luogo, l’impatto della riforma è ancora maggiore sull’ultima quota di seggi, quella destinata ai rappresentanti degli italiani all’estero, per la quale occorrerà un numero di voti di gran lunga superiore rispetto ai collegi nazionali.
Le criticità che ne derivano, sotto entrambi i profili, richiedono un’attenta considerazione, alla luce dei principi supremi dell’ordine costituzionale, in virtù dei quali nelle elezioni politiche il voto espresso da ciascun cittadino, oltre che libero, dev’essere uguale, cioè avere un’uguale potenzialità d’incidenza sulla formazione della politica nazionale, attraverso la mediazione delle forze rappresentate nel Parlamento.
In quarto luogo, la diminuzione del numero dei parlamentari incide sull’elezione del Presidente della Repubblica, per la quale il Parlamento è integrato da 58 rappresentanti regionali. Se il numero dei parlamentari scende da poco di 1000 a poco più di 600, cambiano le proporzioni tra questi ultimi e i rappresentanti regionali. Occorre, quindi, una revisione.
Dunque, la riforma del numero dei parlamentari:
- incide sulla rappresentanza politica e più in generale sull’assetto dei poteri delineato dalla Costituzione;
- ha un impatto rilevante sul rapporto tra gli eletti e gli elettori, anche in rapporto all’uguaglianza del voto e alla tutela delle minoranze.
- “Come” procedere: ricercare larghe intese, agire in anticipo rispetto alla scadenza della legislatura
Poiché la legge elettorale vigente è stata approvata all’interno della cornice costituzionale che è stata in vigore dal 1948 al 2020, ma subisce – come si è appena visto – le conseguenze della legge costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari, bisogna cambiare la legge elettorale. Quid agendum? Le osservazioni esposte di seguito riguardano, anzitutto, il “come” e, poi, i contenuti della legislazione elettorale.
Sotto il primo profilo, è ragionevole ipotizzare che molti, se non tutti, possano condividere due punti di metodo:
- pur se la legge elettorale non è stata inserita nella Costituzione, per la sua importanza rispetto alla rappresentanza politica e ai diritti fondamentali, è necessario ricercare larghe intese;
- il codice di buona condotta elettorale approvato dalla Commissione di Venezia (2012), oltre a raccomandare agli Stati membri di garantire la stabilità del diritto elettorale, afferma che i suoi elementi fondamentali non devono essere alterati “nell’anno che precede l’elezione”. Bisogna, quindi, procedere sollecitamente, oltre che con consensi per quanto possibile ampi.
- Un sistema elettorale proporzionale
Passando dalle considerazioni di metodo a quelle di merito, cioè all’assetto complessivo del sistema elettorale, si confrontano due opzioni di fondo:
- la prima consiste nel rafforzare gli elementi di tipo maggioritario presenti nella legge ‘Rosato’, nel tentativo di dare più forza alle coalizioni organizzate prima del voto, com’era previsto dalla legge ‘Mattarella’;
- la seconda consiste, invece, nel modificare la legge elettorale in senso proporzionale.
Questa opzione è preferibile poiché – come si è visto – la riduzione del numero dei parlamentari ha conseguenze, per dir così, ‘disproporzionali’. Né vale obiettare che soltanto una legge di tipo maggioritario limita la mobilità dei parlamentari, perché essa vi è stata anche nel periodo tra il 1996 e il 2005. Non convince nemmeno l’altra obiezione, secondo cui soltanto una legge di tipo maggioritario dà forza al presidente del consiglio, perché tra il 1996 e il 2001 a quello che si era presentato agli elettori ne sono subentrati altri.
Illustrate le ragioni a favore di una riforma elettorale di tipo proporzionale, vanno definiti altri aspetti tutt’altro che secondari:
- è possibile mantenere un sistema prevalentemente proporzionale, ma con una componente di tipo maggioritario, come è la legge Rosato?
- oppure essa va modificata nel senso di sostituire l’attuale sistema elettorale con un sistema proporzionale “puro”?
- se si sceglie questa seconda opzione, il sistema elettorale dovrebbe essere affiancato e temperato da una soglia di sbarramento per le singole forze politiche? Questa potrebbe essere fissata al 5% o al 3%, come sarebbe più coerente con l’esigenza – prima segnalata – di salvaguardare le minoranze?
- occorrerebbero ulteriori correttivi a livello regionale?