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Attrazione investimenti

La scelta di un’azienda di investire in un paese è dettata da una serie di fattori sia generali che specifici in base al settore di provenienza. Un investitore prende in considerazione nella scelta di questo o quel paese elementi come la stabilità politica, il carico fiscale, l’efficienza della pubblica amministrazione, ovvero il peso che la burocrazia avrà sull’azienda, la presenza o meno di alti livelli di corruzione, la qualità delle risorse umane e la flessibilità del mercato del lavoro.
L’Italia, come mostrano inesorabilmente le classifiche redatte da vari organismi e centri di ricerca internazionale, è poco attrattiva. Se infatti offriamo eccellenti risorse umane, un solido sistema bancario ed una buona base logistica, soffriamo però di un carico normativo e burocratico, tempi molto lunghi della giustizia civile e un sistema politico considerato poco efficace nell’avviare le necessarie politiche per l’ammodernamento del sistema Paese.
Per migliorare la sua attrattività, l’Italia ha bisogno di riforme e investimenti infrastrutturali.
Secondo un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad), guardando al periodo 2018 e 2019, l’Italia è passata dal quindicesimo al sedicesimo posto nella classifica mondiale per attrazione investimenti esteri. Per esempio, la Francia è molto più competitiva dell’Italia nonostante per dimensioni, posizione geografica e sistema industriale, il nostro Paese dovrebbe essere egualmente attrattivo. Siamo entrati già deboli nella fase Covid19 e il rischio è che il nostro Paese sia tra quelli che subiranno i maggiori contraccolpi nella fase post pandemica. Cosa dobbiamo fare e subito per rendere l’Italia una location appetibile per investitori esteri? Intanto puntare sulle filiere in cui l’Italia è leader mondiale per potenziarle e aggiungere nel nostro Paese anelli fondamentali: il made in Italy, la moda, l’agroalimentare, la meccanica, le energie rinnovabili e il settore turistico, tra gli altri. Puntiamo su quello in cui siamo forti per attrarre altri. E infatti, a ben guardare i dati circa gli investimenti fatti in Italia, sono proprio il prestigio dei marchi del Made in Italy, la creatività, l’innovabilità e la qualità dei servizi offerti che hanno portato a importanti operazioni di fusione e acquisizione in Italia in questi anni. Mentre vi è un’intensa attività compiuta dai nostri competitors, ovvero gli altri paesi, per attrarre investitori esteri, l’Italia deve ancora fare tanto per svolgere un ruolo proattivo ed efficace. Da ormai decenni i Paesi anglofoni prima e poi quelli del nord Europa si sono dotati di agenzie per l’attrazione di investimenti esteri sia a livello nazionale che locale, regionale e comunale. Da tempo lo stesso hanno fatto anche i Paesi del sud Europa. Prendiamo come esempio la Spagna che ha una sua agenzia per l’attrazione investimenti a livello nazionale così come una rete ben collegata di agenzie in tutte le sue 17 comunità autonome, che equivalgono alle nostre regioni. Anche molte città spagnole hanno proprie agenzie locali per l’attrazione di investimenti e anch’esse fanno sistema con gli
altri livelli, regionale e nazionale, per offrire assistenza a possibili investitori fornendo un servizio di “one stop shop”, sportello unico, per disbrigo di pratiche amministrative per ottenere permessi in tempi certi. Ricordiamo infatti come il fattore burocrazia sia spesso un deterrente per chi oggi guarda a un investimento in Italia. Queste agenzie svolgono anche un’importante attività di aftercare, ovvero di assistenza all’investitore anche dopo che l’investimento è avvenuto. Ciò al fine di assicurarsi che se vi fossero problemi e criticità, queste possano essere risolte per tempo e non troppo tardi, ovvero quando l’azienda ha deciso di lasciare guardando a un’altra location, magari in un altro Paese. L’Italia ha una sua agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti esteri, Invitalia, e ne vanno potenziate le risorse perché sia più proattiva nella ricerca di investitori sui mercati esteri ma vanno anche create strutture a livello locale. Ad oggi infatti solo otto delle venti regioni italiane si sono dotate di un’agenzia regionale e poco o nulla è stato fatto a livello locale, dai comuni. Va sviluppata una rete che consenta a investitori esteri di esser certi che se vogliono investire in Italia non dovranno aspettare due o tre anni, come è avvenuto tante volte, prima di potere avere i permessi necessari. Anche sul “back reshoring” ovvero sul rientro di chi in questi anni ha delocalizzato, l’Italia, come già altre nazioni stanno facendo, deve sviluppare una legislazione ad hoc per riportare nel nostro Paese chi è andato via.