mezzogiorno

Mezzogiorno questione nazionale

“L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà ” scrisse Giuseppe Mazzini. Infatti, sin dall’unità nazionale, la questione meridionale è già presente nel dibattito politico. Sostenere che nulla sia stato fatto equivale a non conoscere la realtà ma certamente l’errore ripetutamente compiuto, specie negli ultimi decenni, è stato spendere tanto denaro pubblico non per risolvere le cause dei problemi del Mezzogiorno ma per nasconderli: politiche di assunzioni in enti pubblici, creazioni di enti inutili, utilizzo di fondi europei per decine di migliaia di corsi di formazione per distribuire soldi a pioggia senza dar vita ad una politica di investimenti infrastrutturali che potesse colmare il gap Nord-Sud. Secondo dati della Banca d’Italia, lo svantaggio del Sud con il Nord non solo non diminuisce, infatti aumenta. E se il Mezzogiorno continua a decrescere, i suoi giovani continueranno ad andar via. Negli ultimi vent’anni sono circa 1.000.000 i giovani che hanno lasciato il Mezzogiorno senza tornarci, secondo una delle stime meno negative. Serve invece che queste energie restino nel Mezzogiorno se è lì che vogliono crescere e lavorare.
I fondi Europei per le aree più deboli dell’Unione hanno rappresentato un volano per lo sviluppo e per una crescita stabile di molti paesi, Irlanda e Portogallo per citarne alcuni. Non possiamo dire che lo stesso sia avvenuto sempre per il Mezzogiorno. Ricordiamo tra l’altro che l’Italia ogni anno perde centinaia di milioni di Euro che tornano indietro all’Unione Europea perché non utilizzati. Ad oggi sugli oltre 70 miliardi di euro stanziati a suo favore dal bilancio 2014-2020, l’Italia ne ha impegnati soltanto il 73%. Peggio dell’Italia, solo la Romania. Ed è al Sud che la situazione è peggiore: l’Italia non riesce a spendere perché le regioni spesso non riescono a fare progetti nei tempi prestabiliti e presentarli a Bruxelles. Serve una task force centrale, coordinata direttamente dal governo, che includa le migliori competenze e professionalità in campo di progettazione di fondi UE, per presentare ed eseguire i progetti approvati in tempi certi, pena la continua perdita di fondamentali risorse. Infatti, dove vi è una visione su un modello da attuare, una buona qualità dell’amministrazione pubblica, un contesto di legalità e capacità nella rendicontazione, i risultati sono evidenti e di lungo termine, dove esse mancano i risultati sono a dir poco deludenti.
Le infrastrutture, a cominciare dalle reti di trasporto, su gomma e rotaia, sono premessa necessaria per lo sviluppo del Mezzogiorno. Sono la pre-condizione. E il Sud ha una carenza infrastrutturale enorme che va colmata, passando da una logica di assistenzialismo a una logica di investimento. In realtà, guardando per esempio alla spesa per i lavori pubblici, notiamo una realtà diversa dalla percezione generale per cui i soldi vanno sempre al sud. Infatti solo il 30 per cento della spesa dello Stato è destinato alle regioni del Sud, dove si trova il 70 per cento delle opere non terminate. Meno soldi e meno opere pubbliche che nel resto d’ Italia, ma un maggiore spreco. È necessario un cambio di passo. Si tratta di investimenti che forse non concorreranno a far crescere da subito il pil nazionale ma porranno le basi per una crescita stabile e duratura. Investimenti questi che aiuterebbero certamente ad aumentare in modo esponenziale l’intero comparto turistico, il cui potenziale ad oggi è di gran lunga sottovalutato. Per fare ciò serve una visione di ciò che vogliamo che l’Italia e il Mezzogiorno diventino.
Bisogna lavorare con una prospettiva che non sia del giorno per giorno, che, come già sappiamo, non paga.
Al contempo, bisogna sostenere arrivi di nuovi investitori così come il tessuto produttivo esistente con forme di decontribuzione per chi assume e credito d’imposta per imprese che investono in beni strutturali. Va rilanciato e implementato il progetto delle Zone Economiche Speciali che, dotate di una legislazione economica ad hoc, garantiscono di derogare dalle leggi vigenti con condizioni di vantaggio. Le regioni del Sud devono inoltre dotarsi di agenzie regionali per l’attrazione degli investimenti esteri. È sintomatico che solo otto regioni italiane hanno un’agenzia per l’attrazione degli investimenti esteri, il cui compito è fornire a possibili investitori assistenza nell’individuazione di opportunità così come un’unica soluzione per disbrigo di tutte le pratiche amministrative, che spaventano gli investitori quando valutano se investire in Italia o meno, e che solo una di queste sia del Mezzogiorno, dove infatti il bisogno è certamente maggiore.
Insieme a una visione complessiva delle grandi questioni da risolvere per azzerare quel gap tra nord e sud, bisogna guardare anche alle opportunità creando le condizioni perché siano sfruttate al massimo anziché non provare a facilitarle e massimizzare il risultati. Pensiamo allo smart working introdotto da tutte le aziende nel mondo in seguito alla pandemia Covid19 e al fatto che le modalità del lavoro cambieranno radicalmente. Ebbene secondo dati aggiornati dalla Svimez, oggi sono oltre 100.000 i dipendenti di aziende del centro nord Italia che hanno scelto il Mezzogiorno come base per il loro SouthWorking. Questi numeri salirebbero e di molto se si considerassero anche dipendenti di aziende estere. Il Mezzogiorno, per le sue caratteristiche climatiche e per il basso costo della vita, è una base ideale. Creare le condizioni e facilitare questi arrivi consiste per esempio nell’intervenire sulla banda larga, visto che si può lavorare in remoto purché connessi e perché ciò avvenga, la rete deve essere veloce.
Il rilancio del Mezzogiorno coincide con il rilancio dell’intero Paese.