Da diversi anni i mercati finanziari sono di fatto amministrati. I prezzi degli asset non sono più il risultato del gioco della domanda e dell’offerta – anche se imperfetto – ma sono di fatto determinati dalle autorità attraverso la politica monetaria (e non solo).
Gli investimenti a minor rischio (non necessariamente senza rischio) danno un rendimento negativo o nella migliore ipotesi nullo in termini nominali. Anche dove c’è, la deflazione non è sempre sufficiente ad assicurare agli investitori un rendimento positivo almeno in termini reali.
Chi è avverso al rischio deve pagare una tassa sui propri investimenti; chi non vuole pagarla o vorrebbe addirittura che i propri risparmi rendessero qualcosa non ha alternativa che gonfiare la bolla degli asset più rischiosi come azioni, immobili, ecc. anche indipendentemente dai rischi impliciti nelle incerte prospettive dell’economia.
Questo stato di cose configura una vera e propria “financial repression”, in cui l’esigenza di finanziare la sempre maggiore spesa pubblica da parte viene perseguita a scapito dei risparmiatori, soprattutto quelli più prudenti (quelli che hanno investito – anche consapevolmente – nei più redditizi titoli delle banche in crisi sono stati rimborsati con soldi pubblici!).
Si può cambiare questo stato di cose? Non nel bel mezzo dell’emergenza Covid-19, ma se ne deve tenere conto nel definire una posizione politica sulla tutela del risparmio, in linea con l’art. 47 della Costituzione.
I punti principali potrebbero essere questi:
Rispetto ad altri paesi l’Italia, a fronte di un debito pubblico particolarmente elevato, ha un altrettanto elevato risparmio privato (anche al netto del comparativamente contenuto debito delle famiglie, soprattutto rispetto ad alcuni paesi europei c.d. “frugali”).
Negli ultimi anni l’equilibrio fra l’esigenza di sostenibilità del debito da una parte e di adeguata remunerazione del risparmio è venuto progressivamente meno, a svantaggio della seconda. Peraltro, mentre si discute all’infinito della necessità di una “patrimoniale”, i risparmi degli italiani sono già tassati ben al di là dei redditi che producono e di quanto gli stessi risparmiatori ne abbiano reale consapevolezza, prescindendo anche da qualsiasi considerazione di equità fra diverse tipologie di asset.
Il risparmio privato degli Italiani deve comunque essere tutelato, anche perché rappresenta esso stesso una garanzia della sostenibilità del debito pubblico. Al riguardo è necessario che:
- Si riconosca che la prima tutela è rappresentata dall’Euro, che da decenni salvaguarda il valore della moneta in cui i risparmi sono quasi esclusivamente espressi i risparmi degli Italiani. Se da una parte molti italiani hanno perso il lavoro dopo la crisi finanziaria scoppiata nel 2007-8, senza l’Euro molti, molti di più avrebbero perso oltre il lavoro anche tutti i risparmi di una vita. Con il suo elevato debito pubblico l’Italia è il grande paese europeo che più di ogni altro ha beneficiato della politica monetaria adottata dalla BCE a partire dal “whatever it takes” di Mario Draghi. È perfettamente legittimo criticare le scelte della BCE, ma mettere in discussione l’appartenenza all’Euro dell’Italia -senza peraltro mai spiegare come in pratica si farebbe a “uscire dall’euro”- è semplicemente autolesionistico.
- Si garantiscano, compatibilmente con le norme europee in materia, i depositi bancari, nei quali il pubblico deve poter continuare a nutrire la massima fiducia. I risparmiatori non devono essere spinti a detenere i propri risparmi in forma di contante (che, rispetto al passato, ora non ha neppure una remunerazione inferiore a quella dei depositi!), né di strumenti alternativi (ad es. criptovalute) al fuori di un quadro regolamentare adeguato.
- Si rafforzi l’azione di educazione finanziaria avviata negli scorsi anni, avendo però presente che determinate scelte legislative adottate a fronte di situazioni estemporanee finiscono per minare la credibilità degli stessi principi che si vorrebbero inculcare nel pubblico: è inutile predicare che ad ogni maggior rendimento atteso corrisponde un maggior rischio se poi lo Stato rimborsa anche chi ha investito in capitale di rischio come le azioni di una banca (magari con i soldi prelevati a titolo di imposta di bollo ai depositanti). Una maggiore educazione finanziaria degli Italiani è tanto più necessaria in considerazione della limitata efficacia delle tutele introdotte in applicazione delle norme europee sulla trasparenza bancaria (quegli innumerevoli fogli scritti in caratteri piccoli piccoli che i clienti devono firmare senza mai averli letti!).
- Si affrontino i problemi del sistema bancario in una ottica organica, al di là delle singole situazioni di crisi. La banca è ancora la controparte d’elezione degli Italiani nella gestione dei loro risparmi: oltre a gestire le situazioni di crisi nell’immediato, perché si possa continuare ad avere fiducia nelle banche, è necessario che sia assicurata una credibile prospettiva di medio termine all’attività bancaria nel suo complesso. Da anni il settore bancario in Italia non è in grado di remunerare adeguatamente i capitali investiti e non è chiaro come in queste condizioni possano trovarne altri per investire nella trasformazione del business o anche semplicemente per venire incontro alle richieste dell’autorità di vigilanza prudenziale.