Sanità
La salute per l’OMS (1948) è “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità”. È altresì un diritto fondamentale di ogni cittadino italiano garantito dall’art.32 della Costituzione della nostra Repubblica che tutela l’interesse della collettività e fornisce cure gratuite agli indigenti.
Mai come in questo anno appena trascorso, stravolto da una pandemia improvvisa e sconosciuta, abbiamo imparato a coglierne fino in fondo la sua essenza. E mai come quest’anno appena trascorso sono venute fuori tutte le maggiori criticità che anni di tolleranza e politica miope avevano alimentato: riduzione del personale sanitario, taglio irrazionale dei posti letto, chiusura degli ospedali, criticità assistenziali ospedale territorio, piani pandemici desueti, mancato controllo della corruzione e degli sprechi gestionali, aumento del contenzioso medico legale, necessità di rivedere l’intero sistema di formazione medico assistenziale specie post laurea.
Nel corso di questi ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva riduzione del finanziamento per la tutela della salute, con l’invito sempre più pressante ad ottimizzare i risultati nonostante la riduzione di personale , il suo invecchiamento e l’inadeguatezza di risorse e investimenti in strutture e tecnologia.
Dall’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale pubblicato nel 2019, aggiornato al 2017, si rileva che mentre nel 1998 potevamo contare su 1381 strutture ospedaliere di cui il 61% pubbliche e 39% private accreditate, nel 2017 le strutture erano scese a 1000 istituti di cura con il 52% pubblici ed il 48 % da privati accreditati, a conferma di una chiusura maggiore effettuata negli istituti pubblici rispetto ai privati. [http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2879_allegato.pdf]
Inevitabilmente il numero dei posti letto è sceso dai 311000 del 1998 ai 192000 del 2017 con un rapporto sensibilmente diminuito da 5,8 a 3,2 posti letto ogni 1000 abitanti, con notevoli oscillazioni tra regioni (3,9 Molise – 2,0 Calabria) e contro una media europea di 5.
L’intenzione iniziale di ridurre l’ospedalizzazione, potenziando l’assistenza domiciliare e le reti territoriali finora non ha manifestato tutte le sue potenzialità con gravi ripercussioni sul SSN.
L’assistenza territoriale, messa così a dura prova durante questa pandemia, rappresenta uno dei settori su cui è necessario intervenire prioritariamente per permettere a tutto il personale sanitario di assolvere ai propri compiti professionali nelle condizioni migliori per fornire risposte adeguate alle esigenze assistenziali dei cittadini.
I primi passi da compiere devono quindi partire dalla volontà di uniformare gli standard assistenziali, mirando essenzialmente a garantire a tutti i cittadini uguali trattamenti.
Uno dei punti di partenza potrebbe essere la presa in carico di ogni paziente, dal manifestarsi dei primi sintomi di una ipotetica malattia fino al completamento di tutto il percorso diagnostico-terapeutico, senza alcuna interruzione che dovrebbe garantire le cure più idonee da tutte quelle strutture e professioni coinvolte nel trattamento, per un miglioramento dell’appropriatezza sia clinica, basata su percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA), sia di livello, ottenibile attraverso interventi sui modelli organizzativi e di presa in carico dei pazienti.
E’ necessario cominciare incrementando numericamente e coinvolgendo maggiormente specialisti ambulatoriali, pediatri, Medici di Medicina Generale ed infermieri di famiglia per riordinare tutti i percorsi, potenziando Distretti, strutture di ricovero (ordinario o in Day-Hospital), passando per quelle di specialistiche ambulatoriali, quelle di diagnostica strumentale e di laboratorio, fino a coinvolgere le strutture dell’assistenza socio-sanitaria distrettuale, assieme a quelle dell’assistenza domiciliare e della riabilitazione.
Ogni figura e centro professionale assistenziale deve poter disporre di adeguata dotazione strumentale ed attrezzatura tecnologicamente avanzata per essere messo in grado di fornire la assistenza più idonea ed aggiornata possibile. Questo permetterebbe di creare una rete assistenziale tra ospedale e territorio in cui ogni figura e struttura diventi punto di riferimento nel percorso assistenziale. Attraverso questa rete si potrebbe cercare di migliorare la gestione delle liste di attesa, che potrebbe trovare aiuto grazie alla collaborazione di tutti gli attori coinvolti nel sistema, sia quelli operanti sul versante prescrittivo sia quelli esecutivo per una reale presa in carico dei pazienti da parte degli specialisti e delle strutture, prevedendo modelli di gestione integrata dell’assistenza per pazienti da sottoporre a screening e per quelli definiti cronici nell’ambito delle cure primarie (Chronic Care Model), per una gestione trasparente e programmata del volume e della tipologia delle prestazioni da erogare.
Senza considerare che lo stretto monitoraggio dei call center e delle liste di attesa, accessibili ai curanti ed alle figure preposte, permetterebbe una reportistica periodica, con la corretta identificazione delle prime visite e dei controlli, l’individuazione di eventuali criticità e la conseguente correzione.
Il risultato sarebbe sicuramente una ottimizzazione del carico assistenziale ospedaliero, con un incremento dell’assistenza domiciliare, diventata sempre più necessaria visto l’aumento dell’età media ed un accesso mirato su percorsi già definiti con la conseguente riduzione dei tempi di ospedalizzazione per i ricoveri ordinaria ad alta e media intensità di cure.
La Telemedicina in questi ultimi mesi ha mostrato tutte le sue potenzialità e si è dimostrata un concreto aiuto in grado di fornire in sicurezza una tipologia di assistenza efficace e proficua. Ogni ASL dovrebbe quindi implementare simili servizi integrati assistenziali e dotarsi di specifiche piattaforme informatiche con personale qualificato dedicato in grado di fornire una risposta esaustiva alle richieste sempre più pressanti.
Simili progetti potrebbero consentire la realizzazione delle Reti Oncologiche Regionali e rendere meno pesante la carenza dei posti letto di alcuni ospedali consentendo di ottimizzare la tipologia di assistenza HUB/Spoke rendendo possibile curare qualsiasi patologia nel miglior ospedale e non nell’ospedale più vicino al domicilio, ma forse non adeguatamente attrezzato, come deve avvenire nelle patologie oncologiche e tempo dipendenti. Con questa metodica sarà possibile effettuare una assistenza primaria immediata ed, ove necessaria, una successiva in reparti ospedalieri specializzati ed accreditati, in grado di fornire migliori risultati, in virtù degli alti volumi prodotti e degli esiti registrati.
In questo progetto sicuramente ambizioso, non si può prescindere dalla necessità di contrastare con sempre maggiore efficacia la corruzione e gli sprechi da un lato ed il contenzioso medico legale dall’altro.
Secondo uno studio presentato dall’ ISPE (Istituto per la Promozione dell’Etica) in cui sono stati sommati l’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario, (3% del totale della spesa), e gli sprechi nella spesa sanitaria, (18% della spesa totale), con un 13% direttamente conseguente alla corruzione, l’ammontare complessivo dell’attività criminosa raggiunge i 23,6 miliardi di euro.
Purtroppo 21 sistemi sanitari regionali con oltre 200 aziende ospedaliere che amministrano quasi 1500 strutture assistenziali con autonomie di gestione e spesa, in grado di gestire appalti senza vincoli o gare, risultano difficili da controllare, acuendo ancora di più le differenze di cura già esistenti su tutto il territorio nazionale, con incremento assistenziale per alcune regioni, in alcuni casi per specifiche e selezionate patologie, di contro all’ulteriore impoverimento per altre regioni meno virtuose.
Sarebbe quindi non più differibile una modifica del Titolo V della Costituzione per standardizzare verso l’alto l’accesso alle cure e la qualità delle prestazioni, perché la regionalizzazione della sanità, per come è stata attuata, è stata un evidente fallimento. Non è tollerabile un sistema che produce una migrazione sanitaria che avvantaggia solo chi può andare a curarsi nelle regioni più virtuose negando un principio Costituzionale atto a garantire a tutti i Pazienti del territorio Italiano le stesse opportunità e qualità di cura.
Al contempo il contenzioso medico legale in questi ultimi anni ha visto un irrazionale incremento, con ricorsi sempre più frequenti ad indennizzi non dovuti, elargiti al solo fine di evitare prosecuzione in giudizio, per un ammontare complessivo prossimo ai 13 miliardi di euro.
Sommando i due dati (23,6 + 13= 39,6 miliardi di euro) raggiungeremmo l’ammontare di una manovra finanziaria che da sola permetterebbe di fornire agli ospedali accreditati apparecchiature adeguate con tecnologia avanzata in grado di erogare la migliore prestazione cui ogni cittadino ha diritto a prescindere dalla regione di residenza.
Ogni anno vengono effettuate più di 5 milioni di prestazioni operative e i cosiddetti eventi avversi non superano lo 0,1%, e questo fa capire perché il 95 % delle denunce si risolve con l’assoluzione del “reo” magari dopo 10 anni di inutili sofferenze.
Per evitare questo basterebbe l’applicazione di tutti i decreti attuativi previsti della Legge Gelli o la sua modifica ed una volontà politica di trovare una soluzione reale al contenzioso medico legale che tuteli i cittadini ma non penalizzi chi abitualmente non delinque . Sicuramente agendo tempestivamente si invertirebbe il flusso di disaffezione ed il calo delle vocazioni registrato in questi ultimi anni.
Una politica sanitaria poco lungimirante non ha saputo programmare ricambi generazionali adeguati e l’applicazione delle varie leggi per l’agevolazione pensionistica, varate fino ad oggi, ha improvvisamente reso evidente come l’età media dei professionisti della sanità fosse notevolmente avanzata, avendo più del 50 % una età superiore ai 55 aa e non ci fosse, entro il 2023, un adeguato ricambio agli oltre 70000 pensionandi sui 100000 in servizio.
È stato quindi necessario fare ricorso a medici neolaureati per i quali è stato indispensabile rendere abilitante l’esame di laurea pur di inserirli immediatamente nei servizi maggiormente in crisi, insieme a laureati in formazione a partire dal 3 anno di corso di specializzazione. Improvvisamente però ci siamo resi conto che le specializzazioni particolarmente a rischio di denuncia quali in generale quelle chirurgiche e comunque a vocazione operativa, andavano deserte o riempite con difficoltà e non come prima scelta, anche dopo ripetute tornate per cercare di riempire tutti i posti vacanti.
L’estrema difficoltà ad intraprendere professioni stressanti, il tardivo inserimento nel mondo del lavoro, finora ben oltre i 35 anni, percorsi lavorativi pieni di ostacoli economici e professionali con orari non programmabili ed infine il già citato contenzioso medico legale sono solo alcuni dei motivi di tale disaffezione professionale. Ma tra quelli sicuramente di maggior peso è la percepita insoddisfazione dei percorsi formativi post laurea considerati dai giovani medici non più in linea con le attuali esigenze.
È chiaro quanto sia necessario rivedere tutto il ciclo formativo professionale delle specialità mediche a cominciare dai percorsi da effettuare nelle strutture in grado di permettere la reale maturazione professionale, grazie ai volumi di attività adeguati associati a livelli culturali e scientifici .
Il Decreto interministeriale del 13 Giugno 2017 ha introdotto nuovi standard e requisiti per ciascuna tipologia di Scuola di specializzazione medica nonché gli indicatori di attività formativa e assistenziale delle singole Scuole. Sono stati dunque introdotti criteri per l’accreditamento non più legati al mero riscontro di standard strutturali ma anche di requisiti ed indicatori come quelli relativi ai volumi ed esiti delle cure, verificati attraverso la valutazione dell’Agenzia Nazionale per la valutazione dei Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) nonché a requisiti di natura scientifica, definiti avvalendosi del contributo dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Le procedure di valutazione sono state quindi affidate all’Osservatorio Nazionale per la Formazione Specialistica (ONFMS).
Un dossier dell’Osservatorio Nazionale del 2017 ha documentato che 135 scuole di specializzazione Universitarie su 1433 non sono valutate in grado di formare adeguatamente i medici specializzandi, non avendo i numeri necessari ed adeguati e in generale appena il 60 % ha ricevuto una valutazione totalmente positiva, dimostrando, ove mai ve ne fosse stato bisogno, quanto dobbiamo impegnarci per garantire lo sviluppo di nuove generazioni di specialisti maggiormente competenti.
È tempo che l’Italia si apra alle esperienze dei paesi all’avanguardia nel campo e inizi finalmente a concepire gli Ospedali SCUOLA in grado di gestire in autonomia i percorsi formativi degli ultimi anni di specializzazione. Governo e Regioni, responsabili della qualità delle cure e della organizzazione del SSN, dovrebbero consentire al medico in formazione specialistica di acquisire conoscenze ed abilità manuali svolgendo le proprie attività in una rete formativa integrata basata su volumi, esiti e competenze professionali che solo alcune strutture qualificate e certificate sono in grado di garantire. Infatti il Servizio Sanitario Nazionale ha a disposizione un patrimonio di professionalità, di passione, di energie che andrebbero indirizzate e incanalate mentre invece in Italia si assiste senza intervenire ad una continua fuga di cervelli.
Infine una riflessione sulla spesa sanitaria totale che in Italia incide per l’8,9% del prodotto interno lordo, di poco al di sotto della media europea (9%), ma distante dai valori che si registrano in Germania (11,3%), Francia (11%) e Belgio (10,4%).Da un lato, è vero che la sanità italiana – rispetto agli altri Paesi sviluppati, in particolare a quelli europei – mostra buoni dati per quanto riguarda i tassi di mortalità e di ricovero e la speranza di vita, ma la mancanza di una adeguata individuazione di risorse economiche potrebbe causare problemi per un sistema di tipo universalistico ( che va difeso ),per il presente ma soprattutto per il futuro.
Formazione – Tecnologia e Strutture – Territorio – Standard di accesso alle cure a tutte le latitudini del Paese – Tutela delle professioni , i Focus su cui investire .